Licenziamento disciplinare: rivolgersi in modo inappropriato nei confronti di un cliente
Licenziamento disciplinare: integra giusta causa di licenziamento la condotta del lavoratore consistente nel rivolgersi in modo inappropriato nei confronti di un cliente.
La Corte di Cassazione, con la recente Ordinanza n. 26440/2024, ha confermato la legittimità del licenziamento, già riconosciuta dalla Corte d’Appello di Cagliari, di un dipendente addetto al banco macelleria di un supermercato, al quale veniva contestato l’essersi rivolto nei confronti di un cliente con toni sgarbati, aggressivi e scurrili.
La predetta condotta, risultata accertata a seguito dell’espletamento del procedimento disciplinare previsto dall’art. 7 L. n. 300/70, era per il Giudice del merito idonea a legittimare l’irrogazione della massima sanzione disciplinare.
Gli Ermellini, dichiarando inammissibile il ricorso promosso dal lavoratore, confermavano tale decisione, in applicazione dei principi già espressi in materia di recesso per giusta causa e di perimetro di indagine nel quale può estendersi il giudizio di legittimità.
Secondo la Corte la giusta causa di licenziamento, quale "fatto che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", è una clausola generale "di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla conoscenza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama; tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire gusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in Cassazione se privo di errori logici o giuridici".
Quindi l’operazione ermeneutica dell’art. 2119 c.c. compiuta dal Giudice del merito "non sfugge ad una verifica in sede di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell’individuazione e nell’applicazione dei parametri integrativi, poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare, anche collettiva, in cui la concreta fattispecie si colloca".
Non possono dunque trovare ingresso, nel giudizio di legittimità avente ad oggetto un’ipotesi di licenziamento per giusta causa, censure riguardanti una diversa valutazione degli elementi già scrutinati nei precedenti gradi di giudizio, ovvero generiche contestazioni circa l’insussistenza della giusta causa, dovendo invero la parte individuare "quali siano i parametri integrativi della clausola generale che sarebbero stati violati dai giudici di merito".
Note: Ordinanza Corte di cassazione, Sezione Lavoro, n. 26440/2024, pubblicata il 10.10.2024.