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Principio di non contestazione del processo civile

Bilancia e martello giudice

Principio di non contestazione del processo civile

In ossequio a detto principio, rintracciabile nel codice di rito e specificato da recenti interventi della Corte di Cassazione, le parti devono collaborare al fine di circoscrivere gli ambiti della controversia, evidenziando quali elementi dedotti ex adverso si intendono contestare e quali invece, nel silenzio, possono essere ritenuti provati.

l processo civile, si sa, si caratterizza per essere scandito da una moltitudine di atti, udienze e pedissequi oneri a carico delle parti, tendenti all’emissione di un provvedimento conclusivo, il più delle volte ribaltabile nell’eventuale giudizio di gravame.
In tale contesto, a fianco alle decadenze espressamente enunciate dal codice di rito con riguardo alla costituzione in giudizio (art. 167 c.p.c.: possibilità di proporre domande riconvenzionali, chiamare in causa terzi e sollevare eccezioni sia processuali che di merito non rilevabili d’ufficio), vi è un’ulteriore incombenza a carico delle parti, ed in particolar modo di chi è chiamato a difendersi in qualità di convenuto (resistente nel rito del lavoro ovvero in alcuni riti speciali), ovvero di terzo chiamato in causa: ci si riferisce alla formulazione dell’art. 115 co. 1 c.p.c., alla luce delle modifiche ivi apportate dall’art. 45, co. 14, della L. 69/09, secondo cui "salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita."

Invero, proprio dal suddetto ultimo inciso si ricava il c.d. principio di non contestazione, a tenore del quale possono ritenersi pacifici, e non abbisognano di essere provati, i fatti allegati allorquando l’altra parte si sia limitata a contestare esplicitamente e specificatamente solo alcune circostanze, con ciò implicitamente riconoscendo le altre.
Dunque, ad esempio, nell’ipotesi in cui l’attore ponga a fondamento della propria azione una circostanza rilevante ai fini del decidere, sulla quale controparte rimanga silente, il giudice, non essendovi stata contestazione, dovrà ritenere a contrario provata detta circostanza, senza svolgere alcuna ulteriore indagine in merito alla sua veridicità.

E' evidente la simmetria del menzionato articolo (115 co. 1 c.p.c.) con l'art. 416 co. 3 c.p.c., il quale prevede, nell'ambito del rito del lavoro, che il convenuto, all'atto della costituzione in giudizio, "deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda."

Dunque, in base al principio sopra menzionato, possono ritenersi pacifici, e non abbisognano di essere provati, i fatti allegati allorquando l’altra parte si sia limitata a contestare esplicitamente e specificatamente solo alcune circostanze, con ciò implicitamente riconoscendo le altre.
Inoltre, con particolare riguardo al rito lavoro, il sistema di preclusioni su cui esso si fonda impone, in modo ancor più pregnante, ad entrambe le parti del giudizio di collaborare al fine di circoscrivere la materia controversa, mettendo in luce gli elementi in contestazione.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che "l'onere di specifica contestazione presuppone, tuttavia, che la parte sia in grado di effettuare tale contestazione, ossia che la stessa sia a conoscenza delle circostanze di fatto che rendono possibile la confutazione di quanto dedotto ed allegato da controparte" (così, Corte di Cassazione, Sent. n. 5242/14).
Insomma, la specificità della contestazione deve essere proporzionale al grado di conoscenza del fatto da parte di colui contro il quale viene dedotto. Dette conclusioni, cui la giurisprudenza sembra ad oggi approdata in modo pressoché unanime, consentono agli organi giudicanti di restringere il raggio di indagine sulla scorta delle deduzioni fornite dalle parti, nella prospettiva di giungere, verosimilmente, a dei procedimenti civili più rapidi.

Note:
Art. 115 co. 1 c.p.c.;
L. n. 69/09;
Art. 416 co. 3 c.p.c.;
Corte di Cassazione Civ., Sentenza n. 5242/14;
Corte di Cassazione Civ., Ordinanza n. 15394/2016.